Attività motoria e disabilità in tempo di emergenza da Coronavirus

In questi giorni una questione molto dibattuta è come far fronte alla necessità, avvertita dalle persone affette da patologie cronico degenerative e, in particolare, da decadimento cognitivo, di camminare all’aperto per ragioni legate alla propria salute in tempi di emergenza da Coronavirus.

Proviamo a schematizzare la non semplice questione.

  • Quali sono e cosa prevedono le fonti normative?

Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) 09.03.2020, all’articolo 1, comma 3, prevede che: “… lo sport e le attività motorie svolti all’aperto sono ammessi esclusivamente a condizione che sia possibile consentire il rispetto della distanza interpersonale di un metro”.

Sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri (http://www.governo.it/it/faq-iorestoacasa), nelle FAQ (risposte a domande frequenti), è inoltre riportato:

E’ consentito fare attività motoria? Sì, l’attività motoria all’aperto è consentita purché non in gruppo. Sono sempre vietati gli assembramenti.”.

E ancora:

E’ necessario avere con sé l’autodichiarazione per andare a fare attività motoria all’aperto? L’attività motoria all’aperto è espressamente prevista dai decreti come consentita, quindi non è necessaria alcuna autodichiarazione. In caso di controlli, le autorità di pubblica sicurezza possono comunque richiedere di dichiarare il perché dello spostamento. In quel caso, si è tenuti a effettuare la dichiarazione. In caso di dichiarazione falsa o mendace si può incorrere nelle sanzioni previste.

Tuttavia, anche gli Enti Territoriali (Regione, nella persona del suo Presidente e Comune, nella persona del Sindaco) stanno implementando le disposizioni restrittive e limitando quindi ancora di più gli spostamenti (e anche l’attività motoria fine a se stessa), sebbene lo stiano facendo in maniera giuridicamente alquanto opinabile, giacché la libertà di circolazione prevista dall’articolo 16 della Costituzione può subire limitazioni unicamente attraverso provvedimenti aventi forza di legge dello Stato, e non attraverso provvedimenti di rango inferiore e che non siano destinati, prima o dopo, a passare attraverso il vaglio del Parlamento).

Il Presidente della Regione Emilia Romagna, ad esempio, con Ordinanza del 18 marzo 2020, ha chiuso al pubblico parchi e giardini pubblici, disponendo, all’articolo 1, che “L’uso della bicicletta e lo spostamento a piedi sono consentiti esclusivamente per le motivazioni ammesse per gli spostamenti delle persone fisiche (lavoro, ragioni di salute o altre necessità come gli acquisti di generi alimentari). Nel caso in cui la motivazione sia l’attività motoria (passeggiata per ragioni di salute) o l’uscita con l’animale di compagnia per le sue esigenze fisiologiche, si è obbligati a restare in prossimità della propria abitazione”.

Pertanto, secondo la Regione Emilia Romagna ci si può spostare a piedi o in bicicletta esclusivamente per le ragioni per le quali sono ammessi gli spostamenti in auto: necessità, salute, lavoro (e ovviamente rientro a casa).

La Regione ha cioè equiparato le ragioni dell’attività motoria a piedi o in bicicletta con quelle degli spostamenti con qualunque altro mezzo.

Inoltre, due giorni dopo questa ed altre Ordinanze regionali anche il Ministero della Salute è entrato nel merito, con l’Ordinanza del 20.03.2020 disponendo, all’articolo 1, comma 1 lett. a), che in tutta Italia “è vietato l’accesso del pubblico ai parchi, alle ville, alle aree gioco e ai giardini pubblici;”.

E ancora, all’art. 1, comma 1 lett. b), che “non è consentito svolgere attività ludica o ricreativa all’aperto; resta consentito svolgere individualmente attività motoria in prossimità della propria abitazione, purché comunque nel rispetto della distanza di almeno un metro da ogni altra persona.

Anche la Regione Emilia Romagna, con la nuova Ordinanza del 20.03.2020, è poi tornata sul tema disponendo, al punto 10, la “chiusura al pubblico di parchi pubblici, orti comunali, aree di sgambamento cani, arenili in concessione e liberi, aree in adiacenza al mare, lungomari, aree sportive a libero accesso, servizi igienici pubblici e privati ad uso pubblico e divieto di utilizzo delle relative strutture, aree attrezzate per attività ludiche.”

Infine, come noto anche diversi Comuni, a volte anticipando e altre volte adeguandosi alle norme di rango superiore, hanno chiuso gli accessi ai parchi pubblici e limitato la possibilità di attività motoria. Il Comune di Ravenna, ad esempio, aveva già esteso le limitazioni anche ad altre aree come i litorali, le pinete, la diga foranea, disponendo che “L’uso della bicicletta e lo spostamento a piedi sono consentiti esclusivamente per: lavoro, ragioni di salute, acquisto di generi alimentari. Unica eccezione possibile: se la motivazione è legata alla necessità di praticare attività motoria (come ad esempio una passeggiata per ragioni di salute, oppure l’uscita con l’animale di compagnia per le sue esigenze fisiologiche). Si è obbligati a restare in prossimità della propria abitazione” (http://www.comune.ra.it/Covid-19/Coronavirus-in-bici-e-a-piedi-solo-per-lavoro-salute-spesa.-Chiusi-cimiteri-casine-dell-acqua-spiagge-parchi-pinete-e-dighe-i-bar-nelle-aree-di-servizio.-Stop-ai-giochi-leciti-che-prevedono-vincite-in-denaro).

Questo il complessivo quadro normativo che risulta ad oggi. Ovviamente occorre interpretarlo, compito non semplice!

  • È vero che si rischiano denunce in caso di violazione di queste disposizioni?

La possibilità c’è ed è prevista. Posto che da vari Comuni mi è giunta notizia che siano state sporte denunce da parte delle Forze dell’ordine nei confronti di persone che stavano semplicemente “passeggiando”, dunque in (apparente) difetto dei motivi di salute, necessità o lavoro, si tratta di capire chi abbia ragione in questi e altri casi simili, se le persone denunciate o le Forze dell’ordine denuncianti, tenuto conto che comunque ogni caso è a sé e verrà semmai dibattuto in sede di processo penale.

  • A quali problemi potremmo andare incontro in caso di denuncia?

Anzitutto cerchiamo di capire per quali reati si potrebbe, eventualmente, essere denunciati.

I provvedimenti del Governo prevedono, come sanzione per la violazione delle disposizioni in essi contenute, la denuncia penale ai sensi dell’art. 650 c.p. (salvo che la condotta non integri un diverso e più grave reato), che punisce l’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 206,00. Quindi si apre un procedimento penale che richiede una difesa legale.

Altrove (ad esempio a Genova, a quanto risulta dalla lettura dei giornali), pare vi siano state denunce penali anche ai sensi dell’art. 483 c.p. (Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico) e dell’art. 495 c.p. (Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri). Tuttavia, a quanto ho potuto leggere sempre sui giornali, la Procura di Genova avrebbe sinora archiviato tutte le denunce (notizia da accertare, ovviamente).

[NB. Il decreto legge 25 marzo 2020 n. 19 ha sostituito la condanna penale con una  sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000”.]

  • Detto questo, come dobbiamo interpretare le norme di cui sopra e, soprattutto, l’Ordinanza della Regione Emilia Romagna e la successiva Ordinanza del Ministero della Salute?

Anzitutto non possiamo non prendere in considerazione il target di tutte queste disposizioni: far sì che le persone mantengano una distanza di sicurezza le une dalle altre ed evitare gli assembramenti o gli affollamenti nei luoghi pubblici o aperti al pubblico (e, per la verità, anche nei luoghi privati, come in caso di riunioni, feste, ecc.).

L’Ordinanza regionale e l’Ordinanza del Ministero richiedono entrambe di rimanere “in prossimità della propria abitazione”, ma la prima fa comunque salva l’attività  motoria per ragioni di salute e la seconda, quanto meno, non la esclude, vietando solo l’attività ludica o ricreativa all’aperto, ma consentendo l’attività motoria purché vicino a casa.

Riguardo a tali disposizioni si pone evidentemente un problema di natura interpretativa dovuto al fatto che essa contiene un precetto vago e indeterminabile (poiché il concetto espresso con le parole “in prossimità” non è suscettibile di essere definito con certezza) e, pertanto, viola in maniera piuttosto chiara il c.d. “principio di legalità”, in base al quale nessuno può essere punito per aver commesso un fatto che non sia espressamente considerato reato (o violazione amministrativa) da una norma di legge, la quale deve prevedere in maniera certa ogni aspetto della condotta o dell’evento vietati (cosa che in questo caso difetterebbe). Per semplificare, non sarebbe possibile determinare esattamente quando vi sia (e quando no) una violazione del precetto in esame tale da comportare la condanna penale di cui all’art. 650 c.p..

Ma a prescindere dalla discrezionalità nell’interpretazione dell’avverbio “prossimità”, è ovvio che, per chi abita nel centro città e volesse attenersi alle disposizioni, sarà più difficile non incontrare altre persone a piedi uscendo di casa. Chi, invece, abita in zone di periferia o nelle campagne, sarà facilitato nel rispettare le misure di sicurezza.

Da notare, peraltro, che l’Ordinanza regionale parla anche di “passeggiata per ragioni di salute” e che, fra l’altro, l’attività motoria (a piedi o in bicicletta) è concessa solo per le motivazioni ammesse per gli spostamenti in genere (fra cui la salute): suggerisco, pertanto, di portare con sé non solo il modulo di autodichiarazione spuntando la voce “salute”, ma eventualmente anche un minimo di documentazione medica che attesti la necessità (fisica o psichica) di prendere una boccata d’aria o di fare due passi, e questo anche se, come abbiamo visto, secondo la Presidenza del Consiglio dei Ministri non occorrerebbe girare con l’autodichiarazione per l’attività motoria.

Suggerisco anche al personale sanitario, pertanto, di fare menzione di questa esigenza, ove esistente, nelle proprie relazioni e certificazioni.

Ritengo che così facendo, in caso di controlli e contestazioni, si possa adeguatamente giustificare la necessità di attività motoria per ragioni di salute (e non di mero svago, vietate anche dal Ministero della Salute), purché si osservino sempre le regole prudenziali di base volte a garantire la sicurezza di sé e degli altri e a ridurre i contagi (quali, ad esempio, mantenere una distanza di almeno un metro ad altre persone).

  • Chi firma i moduli di autodichiarazione?

Le autodichiarazioni (che giuridicamente sono dichiarazioni sostitutive di certificazione – c.d. autocertificazioni – o sostitutive di atto di notorietà) sono nominative; pertanto se a muoversi sono, ad esempio, un familiare ed un anziano disabile, ne occorrerebbe una per ciascuno: il familiare potrà barrare la casella “necessità”, mentre per i congiunti disabili si potrà indicare la motivazione “salute”, con firma del diretto interessato, se ancora capace di intendere e di volere, oppure dell’A.d.S. o del tutore, consapevoli che, a stretto rigore, i familiari non potrebbero legittimamente firmare una auotodichiarazione al posto dei loro cari in condizione di incapacità. Questo vale sia che ci si muova a piedi che in auto. Ovviamente, se non abbiamo con noi i moduli già compilati, li potremo compilare davanti alle Forze dell’ordine in caso di controllo qualora non si accontentino di una semplice dichiarazione verbale… chiaramente con tutte le problematiche del caso legate alla sottoscrizione da parte della persona disabile. Vorrei sperare che, in simili situazioni, il buon senso prevalga in capo a tutte le parti: se accompagnamo un congiunto disabile e incapace per portarlo, ad esempio, dal dottore, va da sé che dovrebbe essere ritenuta sufficiente la dichiarazione del solo familiare capace.

Detto questo, mi corre peraltro l’obbligo di rilevare che autocertificare problemi di salute pone problemi di incompatibilità normativa non adeguatamente valutati dal Governo, poiché l’art. 49 comma 1 del D.P.R. 445/2000 fa esplicito divieto di certificare con l’autodichiarazione le proprie condizioni di salute, disponendo infatti che: “I certificati medici, sanitari, veterinari, […] non possono essere sostituiti da altro documento, salvo diverse disposizioni della normativa di settore”.

  • Ci si può spostare per recarsi in zone meno affollate per fare attività motoria?

A quanto sinora detto si deve aggiungere che qualcuno pare ritenere ragionevole e lecito che coloro che vivono in zone più affollate (centro città) si possano spostare in auto all’interno del Comune per raggiungere zone meno frequentate (ad es. stradine di campagna), sempre al fine di consentire ai loro cari con patologie cronico degenerative di muoversi in totale sicurezza per sé e per gli altri, avendo cura di avere sempre con sé i suddetti moduli (compilati con la motivazione “salute”) e certificati medici (nonché mascherine, ecc.).

Quest’ultimo passaggio, però, mi sembra che presenti maggiori criticità ed è osteggiato apertamente da alcune Amministrazioni in forza di quanto previsto espressamente dalle Ordinanze regionali e del Ministero della Salute sopra richiamate (la cui legittimità, tuttavia,  come abbiamo visto appare alquanto discutibile poiché il precetto espresso dalle parole “in prossimità” viola il c.d. principio di legalità e risulta, comunque, di difficile applicazione da parte delle Forze dell’ordine).

Ad ogni modo, un primo problema potrebbe scaturire dal fatto di stare in due all’interno del veicolo, ma appare superabile sulla base della mancanza di autonomia della persona che deve essere trasportata (a maggior ragione se convivente: va da sé che fra persone conviventi non si pongono problemi di “distanze da mantenere”, tanto meno in auto).

Un secondo e più grave problema che potrebbe verificarsi potrebbe essere dato, invece, dal mancato riconoscimento, da parte delle Forze dell’ordine, della necessità di allontanarsi troppo dalla propria abitazione per far passeggiare il proprio congiunto con patologie.

Fra l’altro, ricordo che il Decreto del Ministero della Salute del 22.03.2020, analogamente a quanto previsto dal DPCM in pari data, ha “fatto divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi con mezzi di trasporto pubblici o privati in comune diverso da quello in cui si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute.

Insomma, non escludo che in caso di spostamenti con l’auto, anche brevi, per cercare zone meno affollate possano aprirsi dei contenziosi (denunce penali)

  • Per concludere sugli spostamenti volontari.

Alla luce di quanto sopra ritengo pertanto che la passeggiatina consumata nel rispetto dei principi generali, cioè stando attenti ad evitare zone frequentate, portando con sé il modulo di autodichiarazione (con motivazione “salute” per l’anziano con disabilità e “necessità” per l’accompagnatore) ed eventuale certificato medico, costituisca esercizio del diritto costituzionale alla salute e valido argomento da spendere (eventualmente anche in giudizio in caso di denuncia). Meglio ancora se le passeggiatine sono brevi e frequenti: invece che stare fuori due o tre ore per le vie del quartiere, magari si può uscire di casa ad esempio due o tre volte ma per lassi di tempo più brevi e contenuti.

Per concludere sul tema della possibilità di uscire di casa per passeggiare, purtroppo non è possibile dare regole più precise: è del tutto evidente che esiste un margine di discrezionalità nell’interpretazione e applicazione di queste disposizioni (con conseguente problema di legittimità), sia da parte delle persone che vi devono sottostare che da parte di chi è chiamato a farle rispettare.

Ovviamente, tutto quanto appena detto deve essere sempre attuato con grande buon senso e senso di responsabilità, nel rispetto di quello che è il fine ultimo delle disposizioni normative: ridurre le occasioni di contatto ravvicinato fra le persone in modo tale da aumentare la sicurezza per sé e per gli altri e ridurre così le possibilità di diffusione del contagio.

  • E cosa accade in caso di spostamenti “involontari”?

Quanto, infine, al caso della persona incapace che esce di casa essendo sfuggita al controllo dei familiari, ricordo brevemente che la persona incapace di intendere e di volere non è imputabile, cioè non può essere punita per un fatto previsto dalla legge come reato: a lei, pertanto, non si applicheranno le sanzioni dell’art. 650 c.p. né quelle previste per altri reati. Al più, se cagiona danni a terzi, potranno eventualmente essere chiamati a risponderne civilmente, sotto il profilo risarcitorio, coloro che sono tenuti alla sua sorveglianza.

20 marzo 2020

Avv. Stefano Franchi

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