Piccolo vademecum per caregivers disorientati

Foto Matthias Zomer da Pexels

Sempre più spesso mi capita di ricevere richieste di aiuto da parte di persone che assistono propri cari disabili o con fragilità e cercano invano di orientarsi fra i meandri della burocrazia, delle normative e degli uffici pubblici che spesso stentano a comunicare efficacemente fra loro.

Questo, del resto, è anche lo scenario che si apre ai miei occhi da anni ad ogni incontro di formazione/informazione organizzato per i caregivers di persone affette da Alzheimer, demenza senile o Parkinson.

Quando improvvisamente ci si trova a doversi confrontare con una diagnosi di questo genere resa ad un nostro congiunto, si viene letteralmente e inaspettatamente catapultati in un mondo del tutto nuovo, direi quasi alieno e foriero di dubbi, di ansie e di problemi da risolvere.

La tematica è seria e ampia, coinvolgendo, dal lato di chi presta attivamente assistenza a propri congiunti, una importante parte della popolazione pari, secondo un recente dossier del Servizio Studi della Camera dei Deputati che riferisce stime dell’ISTAT del 2015, a circa 8,5 milioni di italiani, di cui la maggior parte in età lavorativa oltre a decine di migliaia di ragazzi in età scolare.

La più grande difficoltà che incontrano le persone, una volta diventate appunto caregivers, come usa dire oggi, consiste soprattutto nel capire a chi rivolgersi per dare risposte alle nuove esigenze che si affacciano alla loro vita.

Ed è proprio questo disorientamento che aggiunge afflizione in un momento reso già difficile, emotivamente e logisticamente parlando, dalla amara scoperta che il proprio congiunto soffre di una patologia cronico degenerativa.

Per questo, da anni, cerco di far passare il concetto in base al quale tutti gli operatori del settore, dai volontari ai professionisti, dagli Assistenti Sociali al personale delle AUSL, dai medici ai cancellieri degli Uffici dei Giudici Tutelari, e via discorrendo, dovrebbero cercare di fare rete fra loro, di “ricucire” le falle che tendono inevitabilmente ad aprirsi nel sistema. Come farlo? È semplice: basterebbe che ogni attore sulla scena possedesse un pizzico di nozioni in più circa il ruolo degli altri attori. A volte basterebbe veramente poco per saper indirizzare le persone.

Ovviamente non si può fare di ogni erba un fascio: in ciascuno degli ambiti coinvolti conosco persone estremamente competenti e volonterose, alle quali dobbiamo il fatto che, tutto sommato, per lo meno in Emilia Romagna il sistema socio-sanitario tutto sommato ancora funzioni decorosamente.

Ma sempre più spesso mi imbatto in cittadini neo-caregivers letteralmente smarriti, segno inequivocabile che qualcosa in questa rete sta cedendo.

Proviamo allora a dare qualche piccolo suggerimento di massima, perché talvolta le persone faticano ad accedere anche a queste informazioni basilari, che invece per molti operatori del settore risulteranno ovviamente più che scontate.

Cominciamo col parlare della presa in carico, da parte dell’AUSL, di persone che manifestano segnali di deterioramento cognitivo o di altre patologie cronico degenerative a carattere neurologico.

La prima cosa da fare è rivolgersi al locale CDCD (Centro Disturbi Cognitivi e Demenze dei Dipartimenti di Cure Primarie), dove ottenere valutazioni, supporto e informazioni da geriatri e psicologi competenti, per le patologie del primo tipo, oppure in neurologia, se si tratta di patologie del secondo tipo.

Nella mia Ravenna il CDCD lavora bene e supporta efficacemente molte persone, fra pazienti e loro familiari.

Per la verità dovrebbero essere i MMG (medici di medicina generale) a dare il primo input ai familiari, invitandoli a compiere i dovuti accertamenti e fornendo loro una “mappa” essenziale degli step da compiere, ma purtroppo non sempre ciò accade.

Altro importante punto di riferimento è senz’altro il mondo dell’associazionismo, cui suggerisco sempre di rivolgersi: nella Regione Emilia Romagna le associazioni che si occupano di tutela delle persone affette da patologie cronico degenerative nonché dei loro familiari sono in genere ben strutturate e in sinergia con le istituzioni, a cominciare dalle AUSL. A Ravenna ricordiamo l’Associazione Alzheimer Ravenna nonché l’Associazione Ravenna Parkinson onlus, con le quali ho il piacere di collaborare.

In secondo luogo, per il caregiver altrettanto fondamentale è poter attingere a risorse che aiutino lui e la persona che assiste a far fronte alle maggiori necessità di natura economica, aggravate talvolta anche dalla riduzione dei redditi da lavoro dovuta al fatto che non sempre è possibile conciliare la propria vita lavorativa con l’assistenza: in genere risulta arduo continuare a lavorare con i ritmi di prima (o a lavorare del tutto) quando occorre occuparsi assiduamente della cura di un proprio familiare.

A tal fine ricordo che l’eventuale richiesta per l’ottenimento di prestazioni a favore di persona invalida e dell’eventuale indennità di accompagnamento a sostegno del caregiver convivente deve essere presentata per via telematica a cura del medico di medicina generale dell’interessato (ovvero qualsiasi medico accreditato presso l’INPS), che può richiedere la visita da parte della Commissione Medica al fine di ottenere l’accertamento dello stato di invalidità civile ed eventualmente anche di portatore di handicap (se del caso, grave) ai sensi della L. 104/1992. Il riconoscimento dello stato di handicap grave ai sensi dell’art. 3, co. 3 della citata L. 104/92, come noto, comporta la possibilità, per il familiare che accudisce il disabile, di fruire di permessi retribuiti e di congedo straordinario.

Talvolta, poi, il caregiver deve fare i conti con il problema di reperire strutture idonee ad accogliere il proprio familiare, magari in tempi relativamente brevi.

In questi casi ritengo sarebbe opportuno definire prima un percorso assistenziale insieme ai curanti al fine di comprendere se sussistano i presupposti per accedere temporaneamente ad una RSA (Residenza Sanitaria Assistenziale), oppure per valutare una struttura socio-sanitaria residenziale (ad esempio una CRA, Casa Residenza per Anziani) che abbia i requisiti per ospitare l’interessato.

Sempre in tale sede si approfondirà la possibilità di inserire il familiare in graduatoria per ottenere una compartecipazione al costo del servizio: in questo caso è indispensabile entrare prima in possesso di un ISEE socio sanitario – cioè l’indicatore della situazione economica equivalente – che si può richiedere ad esempio ad un CAAF presso un sindacato o una ACLI.

Non bisogna mai dimenticare, poi, che sono operativi anche gli sportelli dei servizi SAP (Servizio Aiuto alla Persona) attivati presso i vari Comuni, da cui attingere ulteriori informazioni: a Ravenna attualmente il servizio è stato assorbito nello Sportello Sociale per la non Autosufficienza.

Detto questo, mi permetto poi di suggerire di prendere in considerazione l’istituto di protezione dell’amministrazione di sostegno, magari non subito, ma di sicuro quando le problematiche organiche o psichiche (e segnatamente il deterioramento cognitivo) del proprio caro raggiungano livelli importanti privandolo, in tutto o in parte, di autonomia: semplificando un po’ il discorso questo è infatti il principale presupposto, necessario e sufficiente per ottenere una nomina di amministratore di sostegno, anche se la persona beneficiaria non sia ancora completamente priva di capacità di intendere e di volere e mantenga alcune aree funzionali ancora integre.

Per esperienza posso dire che negli ultimi tempi i familiari che hanno un proprio caro non autosufficiente ricoverato in una struttura (pubblica o privata) incontrano serie difficoltà ad interagire con lui, a causa delle restrizioni e delle problematiche dovute all’attuale emergenza sanitaria. Essere amministratore di sostegno di un proprio congiunto non solo consente di agire in sua rappresentanza nel suo interesse (c.d. “potere di firma”) in tutte le questioni di natura burocratico-patrimoniale che lo riguardano, ma anche di essere maggiormente coinvolti nella relazione terapeutica, di poter esprimere per lui il consenso (medico) informato e, in generale, di avere più forza nel pretendere dalla struttura informazioni, cartelle cliniche, contatti, ecc.. Diciamo che in tempi come questi, caratterizzati non solo dalle difficoltà dell’emergenza sanitaria ma anche da un sempre più marcato “iper legalismo” che tende a far prevalere “le carte bollate” sui rapporti umani (e spesso sul buon senso), poter esibire un provvedimento di nomina del Giudice Tutelare consente di “avere più voce in capitolo”.

Qui, sotto “tutele socio-sanitarie”, potete trovare qualche informazione sull’amministrazione di sostegno e qui trovate pubblicato, sul Canale YouTube dell’AUSL Romagna, un video in cui ne parlo più diffusamente, che non mancherò di divulgare.

Infine, merita spendere qualche parola sullo “stato dell’arte” della normativa specifica di settore.

Per la prima volta il profilo del caregiver è stato delineato e preso in considerazione dalla normativa statale con legge di bilancio 2018 (articolo 1, commi 254-256, legge n. 205 del 2017), che al comma 255 lo definisce come “persona che assiste e si prende cura di specifici soggetti”. Purtroppo, però, a parte tale intervento, giacciano ancora in Parlamento vari disegni e proposte di legge per il riconoscimento e la tutela della figura del caregiver.

Tuttavia è bene ricordare, per i cittadini emiliano-romagnoli, l’importante Legge della Regione Emilia Romagna (L.R. 28 marzo 2014 n. 2 e relative linee attuative), che per prima in Italia ha avuto il merito non solo di riconoscere il ruolo del caregiver familiare, ma soprattutto di prevedere politiche regionali e territoriali di supporto in sinergia con Aziende USL e Comuni, inserendolo all’interno di Piani Assistenziali Individualizzati (PAI) e di Piani Educativi Individualizzati (PEI).

Per concludere, non dimenticate mai che “l’unione fa la forza”: confrontarsi con altre persone che stanno affrontando percorsi simili aiuta il caregiver ad uscire dall’isolamento, spesso erroneamente auto indotto, che tende a caratterizzare i primi momenti. Il confronto aiuta ad incontrare altre persone, a reperire soluzioni, a trovare il necessario supporto psicologico laddove se ne senta il bisogno.

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